Il cacciatorpediniere FanteIl limitato processo di miglioramento in atto nella MM avveniva in un periodo particolare per il bacino del Mediterraneo. Nella regione medio orientale il conflitto arabo-israeliano, destinato a riaccendersi nel 1973, evidenziava l’acuirsi di profonde tensioni sullo sfondo della tradizionale contrapposizione USA-URSS; nell'arca centrale, il ruolo aggressivo ed imprevedibile della Libia costituiva una elemento di grave allarme, soprattutto dopo l'attacco condotto nell'ottobre del 1972 da un Mirage dell'aviazione di Gheddafi contro la corvetta De Cristofaro, impegnata in una missione di vigilanza pesca. Un'analisi effettuata nel 1973 dall'allora Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio Gino De Giorgi, considerava remota l'ipotesi di un conflitto globale coinvolgente i due blocchi, mentre appariva sempre più plausibile uno stato di conflittualità permanente caratterizzato da confronti regionali e locali in situazioni che trovavano il loro più probabile teatro di svolgimento sul mare, ed in particolare proprio nel Mediterraneo e nei bacini adiacenti.

Era quindi naturale che il Paese, non potendo assistere passivamente ad azioni tendenti ad alterare la situazione in un'area così vicina e vitale, adeguasse il proprio strumento difensivo con un'iniziativa di presenza attiva laddove necessario per salvaguardare gli interessi nazionali. La Marina veniva ovviamente considerata la Forza Armata più idonea a rispondere a questa contingenza, e un esame dettagliato delle forze necessarie individuò in 160.000 tonnellate la consistenza ideale del naviglio operativo, a fronte delle 105.000 allora disponibili e delle 41.000 cui la flotta si sarebbe ridotta entro il 1984 in mancanza di adeguati correttivi. Le previsioni a lungo termine facevano infatti intravedere come inevitabile una ulteriore riduzione, dovuta soprattutto alla cronica insufficienza di un. bilancio che non avrebbe consentito di rinnovare "uno contro uno" le piattaforme navali avviate progressivamente alla radiazione (con i fondi dei bilanci ordinari, nel 1974-84 si sarebbero potute costruire solo 13.720 t di naviglio, a fronte di 77.815 t da radiare). In tale situazione i compiti e le risorse della Marina dovevano necessariamente subire un processo di revisione, che servì da base per la pubblicazione di un documento intitolato "Prospettive ed orientamenti di massima della Marina Militare per il periodo 1974-84", altrimenti noto come "Libro Bianco" della Marina.

L'ammiraglio Gino De Giorgi, Capo di Stato Maggiore della MM fra il 1973 e il '77Ne delineare le esigenze per il decennio citato, lo studio prendeva le mosse dall'esame della situazione politico-militare nel Mediterraneo e dagli impegni derivanti alla Marina in funzione dello schiera mento italiano nel contesto geopolitico della regione. In conformità agli indirizzi di politica estera del Paese, che stabilivano la partecipazione dell'Italia all'Alleanza Atlantica e l'integrazione delle forze armate nazionali nella NATO, alla componente navale erano devolute due funzioni principali: assicurare l'adempimento dei compiti assegnati nell'ambito della difesa integrata NATO ed intervenire autonomamente in quei conflitti locali dove non fosse stato possibile contare sull'appoggio diretto del l'Alleanza. Questi indirizzi di carattere generale venivano ulteriormente dettagliati nei termini seguenti: - garantire la protezione delle linee di rifornimento marittime (che assicuravano, all'epoca, l'afflusso di circa 250 milioni d tonnellate di merci all'anno, soprattutto prodotti petroliferi); - provvedere alla difesa delle frontiere marittime, delle isole e di bacini di particolare interesse strategico, quali l'Adriatico ed i Canale di Sicilia; - fornire, in caso di conflitto generalizzato Est-Ovest, la scorta ai gruppi da battaglia dell'US Navy dislocati in Mediterraneo e ai gruppi di rifornimento in transito nello stesso bacino.

Alle missioni principali si aggiungevano alcuni compiti secondari, riassumibili nella protezione della flotta peschereccia nazionale in aree di particolare tensione, nel rifornimento idrico delle isole minori, nelle operazioni di ricerca e soccorso e nelle attività di ricerca idroceanografica: un complesso di esigenze che avrebbe richiesto, già in tempo di pace, una linea di naviglio operativo estremamente diversificata e in grado di sopportare un notevole logorio d'impiego In base alla totalità degli impegni sopra indicati, lo Stato Maggiore della Marina confermò in 105.000 tonnellate la consistenza minima globale del naviglio necessario, suddiviso fra le varie categorie. Un esame a posteriori della situazione che si andava realizzando in quegli anni nel campo dei materiali evidenzia come i requisito di unità navali polivalenti fu soddisfatto solamente coi l'entrata in servizio dei due Audace, mentre nel settore della lotta, antinave la lacuna esistente all'epoca sarebbe stata colmata solo con l'entrata in servizio degli aliscafi e delle fregate.

La fregata Carlo Margottini terza unità della classe BergaminiPer le esigenze di lotta antisommergibili i quattro battelli classe Toti, pur integrati in un dispositivo AS di superficie, erano palesemente insufficienti; l'unico settore dove si era raggiunta una certa credibilità, era quello della difesa antiaerea, con diverse unità dotate di sistemi missilistici sufficientemente moderni, mentre le lacune più gravi interessavano la componente da sbarco e quella logistica, dove le piattaforme in servizio erano ormai del tutto obsolete. Era evidente che, con i 185 miliardi assegnati alla Marina da bilancio della Difesa del 1974, ben poco si sarebbe potuto realizzare a fronte del quadro generale appena tracciato. Muovendo da tale constatazione, lo Stato Maggiore preferì concentrare le risorse disponibili sulle nuove costruzioni, limitando al massimo i lavori di ammodernamento del naviglio più anziano. Il programma a medio termine da portare avanti con i fondi ordinari prevedeva la realizzazione di 4 fregate lanciamissili (classe Lupo), due unità subacquee di prestazioni avanzate (classe Sauro), 8 aliscafi (due classi di 4 esemplari ciascuno), un’unità rifornitrice di squadra (Stromboli), una nave idrografica (Magnaghi) e altro naviglio d’uso locale (fra cui 2 rimorchiatori d’altura e 10 costieri), mentre la linea di volo sarebbe stata potenziata con la graduale acquisizione di 28 elicotteri AB.212 da assegnare alle piattaforme navali e di 12 SH-3D destinati ad operare a terra.

Il recupero di un team di incursori da parte di un SH-3D al termine di un'azione.Delle previste modifiche al naviglio già in linea, quelle effettivamente realizzate furono la predisposizione dei battelli classe Toti all'impiego del siluro A-184 (già programmato per i battelli di nuova costruzione) e la trasformazione in cacciamine di dieci dragamine tradizionali, per adeguarli alle nuove tendenze tecnico-operative che iniziavano ad imporsi nel settore. Il punto di forza del programma di nuove costruzioni era senza dubbio costituito dalle quattro fregate lanciamissili classe Lupo, il cui compito primario sarebbe stato di assicurare la sorveglianza delle unità missilistiche potenzialmente avversarie in periodi di tensione, in modo da incrementare le capacità offensive e difensive della flotta. Per colmare la lacuna del naviglio veloce sottile, da impiegare in Adriatico e nei bacini a ridosso delle due isole maggiori, venne invece decisa la riproduzione in almeno quattro esemplari di una classe di aliscafi da 64 tonnellate (tipo Sparviero) e la successiva costruzione di altrettante unità similari da 235 tonnellate, frutto del programma congiunto PHM fra Italia, Germania e Stati Uniti. La Marina dovette però rinunciare ben presto a quest'ultimo progetto per realizzare, oltre allo Sparviero, altre 6 unità di uguale dislocamento. Il potenziamento della componente subacquea esigeva lo sviluppo di una nuova piattaforma, derivata dal progetto dei Toti. Il concetto ispiratore dei Sauro era frutto di una specifica per un battello con autonomia sufficiente per operare in tutto il bacino mediterraneo e dotato di un sistema di combattimento formato da apparati tecnologicamente all'altezza delle contemporanee realizzazioni estere.

Quest'ultimo punto si rendeva necessario per ovviare alle carenze riscontrate durante l'esercizio dei Toti, mentre migliori condizioni di abitabilità per l'equipaggio imponevano un battello più grande di quello inizialmente concepito. Una previsione su quella che sarebbe stata la consistenza della flotta una volta ultimato il programma costruttivo "ordinario" evidenziava l'inadeguatezza numerica e qualitativa delle future forze disponibili, dovendo necessariamente tener conto delle unità che si sarebbero dovute ritirare dal servizio entro la metà degli anni '80. Era quindi indispensabile il ricorso ad uno stanziamento straordinario di fondi per consentire, nell'arco di un decennio, la realizzazione delle piattaforme sostitutive indispensabili per mantenere la linea operativa ad un ragionevole livello di efficienza e credibilità, legato non tanto a un mero conteggio di tonnellate quanto dalla disponibilità di un numero sufficiente di piattaforme qualitativamente valide. Il disegno di legge che venne formulato prevedeva uno stanziamento di 1.000 miliardi scaglionati in dieci anni, tramite il quale sarebbe stato possibile acquisire un'aliquota suppletiva di naviglio così ripartita:

  • un'unità di scorta a capacità aerea, con velivoli STO/VI, ed elicotteri, per rimpiazzare gli incrociatori Doria e Duilio;
  • due battelli classe Sauro, per compensare la radiazione delle unità cedute dagli Stati Uniti;
  • due cacciatorpediniere lanciamissili, per la sostituzione di altrettante unità classe Indomito;
  • otto fregate lanciamissili portaelicotteri, in sostituzione delle unità classe Cigno e Bergamini;
  • sei aliscafi tipo Sparviero, in sostituzione delle motosiluranti;
  • un rifornitore di squadra, da affiancare a quello già previsto dal programma ordinario, per poter disporre di un'adeguata componente logistica d'altura;
  • un 1 unità d'assalto anfibio, per compensare la radiazione del naviglio da sbarco più anziano;
  • dieci cacciamine, di progetto totalmente nuovo;
  • una nave salvataggio di tipo moderno, per sopperire alle lacune del settore;
  • un'ulteriore aliquota di elicotteri medi e pesanti, necessari sia per armare le unità portaelicotteri di nuova realizzazione sia per potenziare i gruppi di volo basati a terra.

Si trattava di un programma ambizioso, irto di difficoltà tecnico economiche che negli anni a venire avrebbero fatto sentire il loro peso, traducendosi in uno slittamento temporale che non avrebbe consentito il pieno raggiungimento degli obiettivi di partenza. La "Legge Navale" che dava corpo al programma "straordinario" venne approvata dal Parlamento il 22 marzo 1975 con un'ampia maggioranza; per la prima volta nel dopoguerra, anche la grande stampa quotidiana si trovò coinvolta nel dibattito e contribuì alla sua positiva soluzione, ponendo in giusta luce i problemi di una Forza Armata obbligata ad agire in un'atmosfera di disinteresse generale e fra mille difficoltà. L'approvazione della legge si rivelò di grande importanza anche per l'industria cantieristica nazionale, permettendo la promozione e l'esportazione di una notevole quantità di piattaforme navali e di sistemi associati e consentendo alle aziende italiane di cogliere lusinghieri successi sui mercati di tutto il mondo.