Le restrizioni generali di carattere militare (Art. 51) imponevano all'Italia di non possedere, costruire o sperimentare armi atomiche, proiettili ad autopropulsione e i relativi dispositivi di lancio (ad eccezione dei siluri e dei tubi di lancio ad essi associati presenti sul naviglio concesso dal Trattato); era altresì vietato il possesso di cannoni con gittate superiori ai 30 km., di mine e di siluri provvisti di congegni di attivazione ad influenza. Nel gruppo delle clausole limitative di carattere militare figurava inoltre il divieto di mettere in opera installazioni militari nelle isole di Pantelleria e Pianosa e nell'arcipelago delle Pelagie (Art.49).
Le restrizioni riguardanti la Marina Militare, elencate nell'Art. 59, vietavano la costruzione, l'acquisto e la sostituzione di navi da battaglia, oltre all'utilizzazione e alla sperimentazione di unità portaerei, naviglio subacqueo, motosiluranti e mezzi d'assalto di qualsiasi tipo. Il dislocamento totale del naviglio militare (in servizio ed in costruzione), eccettuate le navi da battaglia, non doveva superare le 67.500 tonnellate, mentre il personale effettivo non poteva eccedere le 25.000 unità.
Il protocollo navale delle 4 potenze del 10 febbraio 1947 impegnava inoltre l'Italia a mettere a disposizione delle Nazioni vincitrici (in particolare Stati Uniti, Unione Sovietica,Regno Unito, Francia, Jugoslavia, Albania e Grecia) le seguenti unità navali in conto riparazioni:
-
navi da battaglia : Italia,Vittorio Veneto e Giulio Cesare;
-
incrociatori ed esploratori : Emanuele Filiberto duca d'Aosta, Attilio Regolo, Scipione Africano, Eugenio di Savoia ed Eritrea;
-
cacciatorpediniere : 5 unità classe "Soldati", più l'Augusto Riboty e l'Alfredo Oriani;
-
torpediniere : 6 unità appartenenti a varie classi, fra cui le moderne Aliseo e Fortunale;
-
sommergibili : 8 battelli, di cui 3 appartenenti alla recente classe Acciaio;
-
navi scuola : Cristoforo Colombo.
Anche se la firma del Trattato di Pace poté considerarsi un successo per la diplomazia occidentale (in quanto si evitarono all'Italia condizione ben più dure, analoghe a quelle imposte a Germania e Giappone), le clausole militari si dimostrarono dolorose quanto quelle che provocarono la perdita di territori e popolazioni italiane. In base al Trattato la Marina Militare rimaneva con le due vecchie corazzate Doria e Duilio (in discrete condizioni generali, ma oramai obsolete), 4 incrociatori (i due classe Duca degli Abruzzi e il Raimondo Montecuccoli in buone condizioni, più il Cadorna, subito declassato a pontone scuola e quindi radiato nel '51), altrettanti cacciatorpediniere (di cui uno il Nicoloso da Recco, in mediocri condizioni e posto quasi subito in disarmo) e 36 fra torpediniere e corvette (fra cui le 20 unità classe Gabbiano, dotate di buone caratteristiche generali). Il panorama era completato dal naviglio minore (una ventina di unità fra vedette antisom, dragamine e posamine) e da oltre 100 navi ausiliarie e d'uso locale. Di tutte queste unità, l'unica superstite ancora oggi in servizio è la nave scuola Amerigo Vespucci.
Se da un punto di vista tecnico-qualitativo la cessione di naviglio in gran parte superato o in precarie condizioni di efficienza non costituiva una grande perdita, sotto l'aspetto morale l'evento era colmo di significati negativi, al punto da far emergere dubbi sull'opportunità o meno di ratificare il Trattato o addirittura di autoaffondare le navi, rifacendosi ai precedenti di Scapa Flow (1919) e di Tolone (1942). Per protesta contro le gravi decisioni della Conferenza di Parigi (già note con le prime fasi dei colloqui), l'ammiraglio De Courten aveva rassegnato le dimissioni dall'incarico di Capo di Stato Maggiore della Marina sin dal dicembre 1946. Come successore venne nominato l'ammiraglio Francesco Maugeri, mentre - dopo una serie di avvicendamenti di breve durata - dal 23 maggio 1948 il Ministero della Difesa venne affidato a Randolfo Pacciardi, esponente politico con esperienza militare e personaggio di notevoli doti amministrative, che resse l'incarico oltre 5 anni contribuendo in maniera decisiva al processo di rafforzamento e di ammodernamento delle Forze Armate.
Le urgenti problematiche di un'Italia da ricostruire e la percezione dei grossi mutamenti in atto nella situazione politica internazionale convinsero le potenze vincitrici dell'opportunità di recedere dai drastici propositi sopra menzionati, mitigando in qualche misura le pretese riguardo alla cessione di unità militari; Gran Bretagna e Stati Uniti rinunciarono così alle loro aliquote di naviglio, imitati in piccola parte anche dalla Francia. L'URSS pretese invece la consegna della corazzata Giulio Cesare e della massima parte delle altre unità ad essa attribuite, ad eccezione del cacciatorpediniere Riboty e di alcune motosiluranti e rimorchiatori completamente inefficienti.
Gli incrociatori Attilio Regolo e Scipione Africano divennero i francesi Chateaurenault e Guichen, mentre l'Eugenio di Savoia prese il nome di Helli nella marina greca. Una minima parte delle unità non trasferite per la rinuncia degli assegnatari poté essere incorporata nella Marina Militare, mentre il naviglio in peggiori condizioni e tutto quello appartenente alle categorie vietate dal Trattato venne demolito. Gran Bretagna e Stati Uniti rinunciarono alla consegna delle unità maggiori (le corazzate Italia e Vittorio Veneto), ma i tentativi della Marina per mantenerle in servizio, anche solo simbolicamente, fallirono; già nel '46 era stato imposto il taglio dei cannoni da 381 mm, mentre lo smantellamento definitivo ebbe luogo a La Spezia fra il '48 e il '55.
Si è già accennato a come sin dagli anni dell'immediato dopoguerra la situazione internazionale avesse cominciato a cambiare, delineando le intenzioni e le mire espansionistiche di Stalin nei confronti dell'Europa orientale; le iniziative politico-propagandistiche dell'URSS, supportate dal mantenimento di un massiccio potenziale militare, erano dirette soprattutto verso quelle nazioni e territori provvisoriamente retti da governi di unità nazionale.
Speciale attenzione era rivolta ai paesi del bacino mediterraneo, dove Mosca voleva estendere la propria influenza per poter disporre, in un secondo momento, di stabili punti d'appoggio per le proprie forze navali.
La reazione americana a queste iniziative si manifestò chiaramente a partire dal marzo '46, quando una formazione navale (composta dalla corazzata Missouri e dall'incrociatore Providence, e successivamente integrata dalla portaerei Roosevelt e da altre unità) venne ridislocata nel Mediterraneo orientale, con la chiara intenzione di esercitare una deterrenza nei confronti delle mire espansionistiche sovietiche : l'ex "mare nostrum" iniziava a diventare scenario principale di un confronto fra le grandi potenze (nel bacino erano presenti anche consistenti forze navali britanniche) che si sarebbe protratto per vari decenni e avrebbe coinvolto praticamente tutte le nazioni rivierasche, riaffermando ancora una volta l'importanza sia della posizione geografica della penisola italiana e dei suoi approdi, sia dei difficili compiti che la Marina Militare era chiamata ad assolvere.