A partire dai primordi della talassocrazia mediterranea, passando per Alfred T. Mahan (1840-1914), insigne studioso e noto teorico americano del Potere Marittimo, fino a giungere alla nostra quotidianità, vi è stata un’evoluzione costante del principio di marittimità, ovvero di quel complesso concettuale che, nel tempo, si è via via strutturato secondo le linee logiche che innervano il Potere Marittimo, esplicano i principi del dominio del mare e portano all’effettivo controllo delle estensioni marine.

Mahan, figlio di una nazione inizialmente votata al continentalismo, ha ben chiaro che i soggetti politici marittimi sono quelli destinati a esercitare un potere più ampio di quello terrestre. Il Potere Marittimo diventa quindi proiezione e soprattutto unione con il concetto di commercio funzionale all’aumento di potenza, non escludendo, se necessario, lo scontro diretto. Variano le strategie, passando dalle più assertive alle più attendiste, proprie di flotte meno dotate e per questo abili interpreti del ruolo di minaccia in potenza o, comunque, inevitabilmente interpreti di linee più ragionate, alla Corbett. Ma i principi alla base non mutano: lo Stato, grazie alla sua Forza navale, dovrà sempre garantire la sicurezza delle linee di traffico marittime e della flotta mercantile.

Ma dove si fonda una dottrina navale? Su una Marina Militare robusta, sulla costante disponibilità di sbocchi sul mare, su una adeguata capacità di proiezione, su mezzi efficienti, su una visione strategica olistica con l’attenzione al presente e lo sguardo al futuro. Il dominio del mare (sea control) rimane premio ambito, difficile da aggiudicarsi e significa garanzia di libertà di uso del mare. Non esiste paese, globale o regionale, che non debba costantemente competere e tutelare i propri interessi vitali ad antagonisti sempre più agguerriti, facendo bene attenzione ad assicurarsi il sostegno delle nazioni dove le sue navi dirigono. L’Italia ha una grande tradizione di pensiero marittimo e navale e il valore dei Bernotti, dei Flamigni, Giorgerini e Ramoino, i cui testi italiani ampliano, contestualizzano, compendiano tutte le accezioni, non esclusa quella militare, non dimenticano che un sagace dominio del mare si esercita anche in tempo di pace, svolgendo compiti di naval diplomacy, di polizia marittima, di vetrina per le eccellenze produttive nazionali. È inevitabile: chi detiene il dominio del mare, chi è in grado di esercitare un fattivo Potere Marittimo secondo la bidimensionalità spazio-temporale, possiede la supremazia necessaria al conseguimento dei propri obiettivi strategici, siano essi economici, politici, di hard e soft power. L’ammiraglio Antonio Flamigni (1), uomo di grande caratura professionale e intellettuale, ha affrontato, con spirito e libertà di pensiero, questi temi, riuscendo a interpretare il pensiero di Mahan con saggezza e arguzia, contestualizzandolo e rendendolo così utile strumento di pensiero per l’evoluzione della Marina Militare sotto il triplice profilo organico, strategico e operativo, finalizzato a garantire i permanenti interessi vitali della comunità nazionale. Proprio l’ammiraglio Flamigni scrisse (2): «I presupposti per ottenerlo (il dominio del mare) si evidenziano essenzialmente in tempo di pace,non soltanto con la costruzione di flotte, quanto con il mantenimento di legami commerciali, economici e finanziari» e ancora, estendendo la visione da precursore di Mahan, «il Potere Marittimo di una nazione come l’Italia è lo strumento che il potere politico può usare per salvaguardare gli interessi generali del paese nell’ambito delle alleanze, dei trattati e degli organismi internazionali»; da qui la sempre più articolata attività di cooperazione internazionale, di capacity building,diintrattenimento di proficue relazioni diplomatiche come testimoniato dai Regional Seapower Symposium di Venezia.

Il Potere Marittimo italiano, quale espressione di quella forza vivente esaltata dall’ammiraglio Bergamini, ha saputo rimanere al passo con i tempi: del resto, quale delle Forze armate, se non la Marina, naturalmente volta alle realtà internazionali, avrebbe saputo cogliere meglio e per tempo il senso della globalizzazione e delle innovazioni tecnologiche anche sul piano culturale e sociale? Come è sempre stato, interpretando tempi e concetti, la Marina ha plasmato la sua strategia dandole un connotato olistico in grado di assicurare sia l’intrinseco compito bellico, sia di sviluppare nuove vision che la lanciano verso teatri in cui, presenza, sorveglianza, interdizione, deterrenza, proiezione navale volta alla sicurezza delle Sea Lines Of Communication, unitamente al contrasto alla pirateria e al terrorismo e al controllo dei flussi migratori e agli interventi umanitari, rimangono a fermo supporto degli interessi nazionali. Il nostro paese, di fatto, sta riscoprendo l’importanza di una concreta geopolitica del mare, dove protezione e supporto al commercio diventano espressione pulsante del Potere Marittimo.

Colgo peraltro questa occasione per evidenziare come riferendosi alle flotte, nell’ottica della crescente multidimensionalità e multidisciplinarietà delle Marine, si senta parlare sempre più spesso di «forze marittime» piuttosto che «forze navali». Ciò dipende dalla crescente rilevanza acquisita, tra le capacità esprimibili dalle moderne Marine, dall’aviazione imbarcata e da altre componenti specialistiche — come quella anfibia —, fermo restando lo storico concetto di marittimità di Mahaniana memoria ispirato a principi di «mercantilismo» e quindi inclusivo di flotte reali e reti commerciali, cantieristica, portualità e basi avanzate.

Il mare rappresenta, quindi, l’elemento catalizzante di molteplici aspetti. Il Potere Marittimo conserva, infatti, quella particolare poliedricità di espressione da trovare naturale sbocco, con termine caro alla modernità espressiva, nella più completa accezione della locuzione di Sistema Paese, dove una Marina Militare efficiente e numericamente adeguata, in termini di uomini e mezzi, possa assicurare la sua preziosa presenza in aree che, seppur sempre più distanti dalle patrie sponde, soddisfino gli interessi nazionali. È stata la Marina a forgiare il concetto di Mediterraneo Allargato; è ancora la Marina a essere, come sempre dal 1860, lo strumento flessibile e polivalente della politica nazionale. Così, nel mondo contemporaneo, aspetti economici, geoeconomici e Potere Marittimo si presentano in forte interconnessione fra loro. Siamo abituati a rappresentare il mondo, mediante carte e mappe — modalità grafiche atte a descrivere la realtà — che appaiono ancora oggi, malgrado questa realtà iper-connessa, come strumenti imprescindibili per tratteggiare ciò che ci circonda, incluso lo spazio marittimo. Tuttavia, gli spazi marittimi assumono una dimensione ancora più ampia e pregnante, perché sempre più vincolata agli interessi vitali della nazione: non a caso il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare ha recentemente accennato a un rinnovato e significativo «allargamento» di quello che è il Mediterraneo Allargato.

Per terminare, desidero concludere con voi queste riflessioni con una nota ottimistica e con gli auguri di rito, anche se questo numero sarà distribuito, come è regola dal 1868 a oggi, a gennaio. L’ottimismo nasce dalla considerazione che la Marina fa la sua parte oggi e lavora — come sempre — anche in vista, oltre l’orizzonte, del miglior domani per tutta la collettività.

Daniele Sapienza

(1) Antonio Flamigni (1931-94): nativo di Forlì ed entrato in Accademia navale nel 1951, lasciò il servizio attivo nel 1991 con il grado di contrammiraglio. Oltre ai numerosi scritti, ha tradotto: L’influenza del Potere Marittimo sulla Storia (A.T. Mahan) e Alcuni principi di Strategia Marittima (J.S. Corbett).

(2) Antonio Flamigni, Evoluzione del Potere Marittimo nella storia, USMM, 2011.