Viviamo in tempi difficili. Crisi e guerre molto vicine. È pertanto inevitabile che una tecnologia, per certi versi prodigiosa, come l'Intelligenza Artificiale (IA) sia oggetto di forte interesse a tutti i livelli, compreso quello militare. Oggi l'IA non appartiene più alla fantascienza, sul genere del film avveniristico - era il 1968 - 2001 Odissea nello spazio (forse più citato che visto) del regista Stanley Kubrik. Sullo schermo Hal 9000, il mastodontico computer di bordo, governava l'astronave proiettata nello spazio, salvo “impazzire" cominciando ad uccidere l'equipaggio. Soltanto l'ultimo astronauta superstite riuscirà a disinnescare Hal 9000, facendolo regredire al livello di un bambino che canta filastrocche. Una scena da antologia che oggi, visto che non si tratta più di fantascienza, ma della realtà quotidiana, genera interrogativi e paure.
Secondo un pensatore moderno, il Professor Umberto Galimberti (1), riprendendo per l'occasione quanto già espresso dal filosofo tedesco Martin Heidegger (2), tutti noi siamo immersi in una “età della tecnica"; una fase storica durante la quale la tecnica non è uno strumento nelle mani dell'uomo, ma un ambiente a sé, ovvero un modo di essere e d'intendere il mondo, dall'economia alla cultura. Sempre secondo Galimberti (3), i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso e scopo, ma anche la natura, l'etica, la politica, la religione e la storia, quantomeno dall'età umanistica dovranno ora, in quest'età della tecnica, essere riconsiderati, dismessi o rifondati partendo dalle radici. Di fatto, la tecnica è cultura, non un mero mezzo per raggiungere un fine. E in questa cosiddetta “era della tecnica", l'IA rappresenta una sfida che attende le future generazioni di (scusate questo termine pseudo-inglese) nativi digitali (4). Persone, cioè, cresciute con le tecnologie digitali come i computer, internet, telefoni cellulari e MP3 e non influenzate da concetti di matrice analogica e ideologiche risalenti al XX secolo.
Filosofia a parte, resta il fatto che il mondo sta mutando in fretta e che tutti debbono attrezzarsi, volenti o nolenti, anche i non più giovani, di conseguenza. In ogni caso parlare di IA significa trattare un tema molto complesso contrassegnato da dubbi e perplessità, non ultimi gli aspetti di natura etici. L'essenza della questione è che per la prima volta nella storia abbiamo uno strumento, l'IA, che crea prodotti per i quali risulta difficile capire se l'origine prima sia, o meno, umana. Sicuramente, in un futuro non troppo lontano i moderni strumenti IA diventeranno sempre meno distinguibili rispetto a un prodotto umano. E proprio per questo sarà sempre più necessario aumentare la nostra capacità di capire e valutare con senso critico gli output dell'IA. Avremo, cioè, bisogno d'interpretare quello che dice il computer. Ma l'IA, come sostiene uno dei maggiori esperti del settore, il fisico e scienziato Federico Faggin (5), non ha una coscienza, né possiede il libero arbitrio, essendo queste qualità uniche e non riproducibili proprie soltanto dell'essere umano. Faggin ha sviluppato, di concerto con gli studi teorici del fisico Giacomo Mauro D'Ariano, una teoria della coscienza e del libero arbitrio secondo la quale queste categorie sono un fenomeno puramente quantistico, ovvero unico e distinto per ogni individuo e, pertanto, non riproducibile. Questa teoria sarebbe supportata, sempre secondo Faggin, da due teoremi della fisica quantistica: quello di non clonazione e quello detto di Holevo. È opportuno aggiungere, a questo punto, che su iniziativa del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il fisico Faggin ha ricevuto, nel novembre 2019, le insegne di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
È altresì opportuno chiarire, per il proseguo, cosa s'intende per IA e, dato il contesto di riferimento di queste pagine, quali applicazioni possa avere questa nuova tecnologia nell'ambito delle Marine militari.
L'IA è un ramo dell'informatica che si occupa della progettazione e dello sviluppo di sistemi in grado di svolgere compiti e fornire prodotti che, se eseguiti da un essere umano, richiederebbero intelligenza. Si tratta, cioè, di una disciplina sia scientifica sia ingegneristica che si occupa di realizzare macchine pensanti, ovvero macchine e programmi che possano risolvere, in modo del tutto autonomo, problemi diversi in base a un ragionamento. Questi compiti includono, per esempio: il riconoscimento del linguaggio naturale, così da comprendere e rispondere a una domanda che fosse posta. Ancora, dar corso a una percezione ottica che consenta di riconoscere volti od oggetti; l'apprendimento automatico da dati (c.d. machine learning); il ragionamento logico, la pianificazione e il prendere decisioni autonome sulla base di determinati algoritmi. In buona sostanza, una definizione semplice di IA potrebbe essere: la capacità di una macchina (computer) di imitare funzioni cognitive tipiche degli esseri umani. Oggigiorno l'automazione, sempre più articolata, ha dato vita a due teorie fondamentali: l'“IA debole" e l'“IA forte" (6), così battezzate dallo studioso John Searle. L'IA “debole" (in inglese weak AI o narrow AI) è progettata per risolvere problemi specifici ed eseguire compiti ben delimitati; un qualcosa che simula, pertanto, comportamenti intelligenti in ambiti ristretti. L'IA forte ha, viceversa, un campo d'applicazione molto più ampio e, a livello teorico, potrebbe spingersi fino ad avere una forma di coscienza o, meglio, di autocoscienza. È opportuno sottolineare, però, che - in pratica - non esistono, ad oggi, esempi concreti di IA forte. Quest'ultima resta, per ora, un obiettivo a lungo termine della ricerca, ammesso e non concesso che sia davvero possibile arrivarci. Quest'ultimo tipo di IA comporterebbe, infatti e inevitabilmente, dei seri rischi etici d'applicazione.
Nell'ambito propriamente navale, osserviamo come tutte le moderne Marine militari stiano integrando sempre più l'Intelligenza Artificiale per assolvere attività che richiedono una forma d' “intelligenza" che vada oltre la capacità di elaborazione dei dati. Si cerca, invero, di aggiungere a quella dote la capacità di apprendere e di risolvere problemi, prendendo decisioni in diverse aree operative. In particolare il supporto, lo sviluppo e l'implementazione di sistemi autonomi per la progettazione e realizzazione di unità navali (come il lettore troverà descritto all'interno di questo numero), di velivoli senza pilota (UAV), di imbarcazioni di superficie (USV) e di veicoli sottomarini (UUV). Il campo di applicazione dell'IA si estende, inoltre, alle attività di ricerca, sorveglianza e ricognizione di superficie, aerea e subacquea a opera di sensori quali, per esempio: Radar; Sonar, idrofoni eccetera. E da qui la raccolta di informazioni attinenti all'intelligence e alla manutenzione predittiva, tutto ciò per potenziare e migliorare l'efficienza dei sistemi d'arma. In generale, l'IA è utilizzata per analizzare enormi quantità di dati, provenienti dai più svariati sensori, allo scopo di supportare un'ampia gamma di attività militari fino ad assistere il processo decisionale o d'ingaggio. In tal senso gli sforzi di tutte le Marine per integrare l'IA sono continui e mirano a trasformare le operazioni navali, aumentando a un tempo la capacità offensiva e quella difensiva dei dispositivi navali migliorandone la prontezza operativa e l'efficienza. In generale tutte le moderne Marine militari riconoscono il fatto che l'IA è un fattore importante e uno strumento ineludibile non per le future, ma per le correnti esigenze sul mare in diversi ambiti operativi. Le applicazioni specifiche dell'IA nella Marine militari, infatti, includono:
Intelligence e rilevamento delle minacce
Utilizzo di algoritmi di IA per elaborare i dati dei sensori radar e sonar, identificando e classificando le minacce, si tratti di sottomarini o di imbarcazioni non identificate.
Manutenzione predittiva
Utilizzo dell'IA per analizzare i dati della nave e prevedere quando le apparecchiature potrebbero andare in avaria, permettendo una manutenzione c.d. proattiva e riducendo i tempi di inattività e immobilizzazione.
Comando e Controllo:
L'IA viene sempre più integrata nei sistemi di comando e controllo (C2) militare, trasformando il modo in cui le operazioni militari vengono pianificate e condotte. In particolare, l'integrazione dell'IA nei sistemi di comando e controllo dovrebbe servire a migliorare e velocizzare il processo decisionale, ottimizzando l'allocazione delle risorse e migliorando la consapevolezza della situazione operativa (c.d. Maritime Situational Awareness).
Addestramento e Simulazione
Utilizzo di simulazioni basate sull'IA per addestrare il personale in scenari di combattimento realistici, assicurando in tal modo una preparazione più efficiente ed efficace.
Elaborazione e Analisi dei Dati:
Sfruttare l'IA per elaborare l'enorme volume di dati generati dai vari sistemi della Marina e renderli più accessibili ai comandanti.
Una volta esaurita, per evidenti ragioni di spazio ed opportunità questa premessa introduttiva, necessariamente breve, e consci della complessità e della vastità dell'argomento, ci sia concessa, in chiusura, una breve riflessione storico navale prendendo come spunto uno dei più illustri e noti episodi significativi del passato. Tutti noi conosciamo la figura di Orazio Nelson e la sua leggendaria, fatale e decisiva vittoria a Trafalgar, la maggiore battaglia navale dell'età della vela. Quella vittoria, conseguita il 21 ottobre 1805, assicurò alla Royal Navy un chiaro dominio del mare per oltre un secolo a beneficio della Pax Britannica su tutto il pianeta. Ebbene, la domanda che si vuol porre al lettore è se lo strumento dell'IA fosse stato al posto di Lord Nelson, ci sarebbe stata in ogni modo quella vittoria netta e, in pratica, definitiva? A parere di chi scrive non è possibile affermare che l'IA avrebbe conseguito gli stessi risultati. Già nella battaglia di Capo San Vincenzo contro gli spagnoli, combattuta il 14 febbraio 1797, Nelson aveva disatteso gli algoritmi - diciamo così - delle rigide “Fighting Instructions", in quanto quelle norme proibivano espressamente iniziative sul genere di quelle prese da quel volitivo Capitano di vascello. Quel giorno, infatti, Nelson, al comando dell'HMS Captain (74 cannoni), mentre occupava il terz'ultimo posto in una linea di fila formata da 15 ship of the line della Squadra inglese, essendosi reso conto che le navi spagnole stavano mettendosi in salvo facendo vela verso Cadice, ruppe, di propria iniziativa, la formazione avversaria dirigendo con rotta d'intercetto sull'avanguardia nemica. Fu una manovra rischiosissima perché il Captain si trovò a fronteggiare ben 7 vascelli spagnoli, tra i quali il celeberrimo Santìsima Trinidad (il solo quattro ponti esistente al mondo), un possente vascello di quasi 5000 tonnellate, con 1000 uomini d'equipaggio e ben 130 cannoni. C'è da dire che l'Ammiraglio inglese Jervis comprese subito la situazione e distaccò l'HMS Excellent (74 cannoni) del Capitano di vascello Collingwood (grande amico di Nelson e che sarà pure lui presente a Trafalgar al comando, come vice Ammiraglio, della seconda colonna della Squadra inglese) a supporto del Captain. Di fatto, nonostante quest'ultima nave subisse danni ingentissimi (disalberata, col timone in avaria e notevoli perdite tra l'equipaggio), Nelson riuscì, con l'ultimo abbrivio, a investire, arrembare e catturare il San Nicolas (80 cannoni) per poi attaccare e catturare il grande San Josef (un vascello di I rango da 112 cannoni) i cui pennoni si erano impigliati, nella mischia, con quelli del San Nicolas. Fu un'azione spericolata che ebbe un incredibile risalto in Inghilterra (le cui fortune erano, a quel tempo e in seguito alla perdita dell'Italia, piuttosto in ribasso) e che valse a Nelson l'Ordine del Bagno e la promozione ad Ammiraglio. Un'azione da romanzo che lasciò stupefatti i contemporanei e che rappresentò un momento decisivo per la carriera di Nelson, audace e spregiudicato combattente. L'IA avrebbe saputo, o potuto, fare altrettanto? In seguito, nel corso della Prima battaglia navale di Copenaghen del 2 aprile 1801, Nelson condusse, con 12 navi, un attacco frontale contro quel porto procedendo attraverso i banchi di sabbia. Ben quattro navi si arenarono, ma Nelson era risoluto a vincere e, padrone della situazione tattica in corso, interpretò argutamente l'ordine del suo superiore, l'Ammiraglio Parker, il quale aveva emanato il segnale di ritirata in base al seguente ragionamento: “Farò il segnale di richiamo per amore di Nelson. Se sarà in grado di continuare l'azione, lo ignorerà; altrimenti, sarà una scusa per la sua ritirata e nessuna colpa potrà essergli attribuita". Nelson ordinò che il segnale fosse riconosciuto, ma non ripetuto alle navi della sua Divisione. Rivolgendosi poi al proprio Aiutante di Bandiera, Thomas Foley, disse, secondo la tradizione: “Sai, Foley, ho un occhio solo - e ho il diritto di essere cieco a volte" quindi, avvicinando il cannocchiale all'occhio buio, disse: “Davvero non vedo il segnale!" L'IA avrebbe saputo o potuto fare altrettanto? E infine Trafalgar. Nelson aveva cercato quella battaglia per quasi un anno con tutta la sua tenacia e determinazione, nonostante una dannata sfortuna. Era pienamente convinto di poter vincere grazie alla perizia e all'addestramento dei propri equipaggi a partire dai cannonieri, notoriamente in grado, in virtù di un addestramento continuo e feroce, di tirare, a parità di tempo, il doppio dei proietti di qualsiasi altra Marina prima che i pezzi si arroventassero.
Fermiamoci un attimo. A St. Vincent il successo fu determinato da un corretto apprezzamento tattico. La sommatoria delle informazioni (rotta, velocità, peso della fiancata in un minuto eccetera) possono essere tabulate come in un wargame, ma se anche l'altra parte si fosse mossa usando il medesimo manuale? E se l'ammiraglio Jervis non avesse distaccato l'Excellent? E se quest'ultimo avesse risposto, per mille ragioni, in ritardo?
A Copenaghen Nelson viola le regole, e fin qui pazienza, ma la sua stessa esperienza, avendo perso, in precedenza, un occhio e un braccio durante due azioni contro altrettanti forti, per poi affermare “A ship's a fool to fight a fort". Una contraddizione vincente, quindi, questa mossa una macchina non la può fare proprio perché è programmata per non violare il principio di non contraddizione di Aristotele.
Trafalgar. Qui la pianificazione e l'addestramento delle forze navali rientrano nelle capacità riconosciute dell'IA. Se volgiamo anche il famoso taglio del “T" fatto da Nelson ai danni della flotta franco-spagnola era concepibile, tanto è vero che gli ammiragli Villeneuve e Gravina l'avevano considerato nelle proprie istruzioni, in quanto si trattava della replica, su scala non di una singola nave, ma dell'intera Squadra (e che squadra!) di St. Vincent, ma era, non di meno, ... il modo per entrare in battaglia contrario al più banale buonsenso, visto che le navi inglesi venivano verso di noi distanziate e a velocità molto ridotta (7) …. Una corsa verso la distruzione concepibile una volta che fossero state messe in conto la robustezza delle navi e la scarsa efficacia, contro gli scafi, dei proietti dell'epoca, ma che gli uomini avrebbero pagato a centinaia, uccisi o storpiati per sempre. Un capo carismatico che si espone come il più giovane dei suoi uomini (e, infatti, ci lascia puntualmente la pelle), può chiedere e, soprattutto, ottenere un simile sacrificio, non per un attimo, ma per ore e ore di battaglia e, poi, di tempesta. ma una macchina?
Il genio di Nelson non consisteva nell'applicazione di rigidi principi o di algoritmi fissi, ma nell'occhio (superstite) capace di individuare tattiche flessibili e adatte alla situazione sommando l'intuito all'esperienza e saldando il tutto con il coraggio personale. Per di più, a Trafalgar, Nelson aveva intuito ancora una volta che le misure più semplici e più audaci erano anche le più sicure (8). In particolare la formazione di navigazione sarebbe stata anche la formazione di battaglia (9) …the order of sailing is to be the order of battle; placing the fleet in two lines of sixteen ships each. Le due colonne della squadra inglese dovevano tagliare la formazione franco-spagnola e dividere l'azione in una serie di combattimenti separati, sfruttando nel tempo e nello spazio (che poi sono la stessa cosa) la superiorità individuale in ogni scontro: … in case signals can neither be seen nor perfectly understood, no captain can do very wrong if he places his ship alongside that of an enemy (10) ... è cioè che nel caso in cui i segnali non potessero essere visti o perfettamente compresi, nessun comandante avrebbe mai sbagliato se avesse portato il suo vascello a contatto di una nave avversaria. E per arrivare a questo il sacrificio di Nelson è inevitabile, a meno dell'ennesimo miracolo dopo troppi altri. Nelson non fu colpito a Trafalgar, sul cassero dell'HMS Victory, da un fuciliere francese che sparava da una gabbia del Redoutable, per mera mala sorte. Nelson era perfettamente cosciente del rischio personale che correva a bordo del Victory e vi furono discussioni nell'entourage di Nelson di come convincerlo a ridurre il pericolo mettendogli un pastrano sulla giubba carica di decorazioni. L'ammiraglio comandante superiore in mare rifiutò categoricamente perché avrebbe dato “un cattivo esempio". Etica, ovvero esempio ed onore. Un algoritmo? Non da parte di un computer, il quale può (linguaggio macchina) (11) con il suo processore eseguire programmi scritti codificati e determinati. Il di più, nel bene e nel male, è umano, ovvero imprevedibile.
Conclusione: l'IA non può morire, perché non è viva. Nelson morì in battaglia, ma vinse e passò alla storia. Una lezione da non dimenticare. L'IA è uno strumento, certo prezioso, ma non è tutto.
NOTE
(1) Umbero Galimberti (Monza, 2 maggio 1942): filosofo, saggista e psicoanalista italiano, nonché giornalista de la Repubblica.
(2) La “Questione sulla tecnica", fu una lezione che il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976) tenne a Monaco di Baviera nel 1953. È considerato uno dei più importanti lavori filosofici dedicati alla tecnologia del Novecento.
(3) Umberto Galimberti, Psiche e techne - L'uomo nell'età della tecnica. Feltrinelli settembre 2016.
(4) Nativo digitale è un'espressione coniata da Marc Prensky nel suo articolo Digital Natives, Digital Immigrants, pubblicato nel 2001, è diffusa in Italia dal saggio Nativi digitali (2011) di Paolo Ferri.
(5) Federico Faggin (Vicenza, 1º dicembre 1941), è un fisico, inventore e imprenditore italiano naturalizzato statunitense.
(6) https://www.intelligenzaartificiale.it/intelligenza-artificiale-forte-e-debole/.
(7) A.M. Gicquel des Touches, “Souvenirs d'un marine de la Republique".
(8) “Boldest meausures are the safest". Espressione tratta da una lettera scritta da Nelson a Sir Hyde Parker il 24 marzo 1801, prima della battaglia di Copenaghen.
(9) Nelson's Trafalgar Memorandum. LORD NELSON, 1805. Memorandum. Secret. Victory, off Cadiz, 9th October, 1805.
(10) Ibidem.
(11) Il linguaggio macchina è basato su un alfabeto detto binario in quanto comprende due soli simboli, generalmente indicati con 0 e 1: un simbolo di questo alfabeto viene detto bit. Il processore (o CPU) è quella componente hardware di un computer che è in grado di eseguire i programmi scritti in linguaggio macchina.