Editoriale

​Nel 1936, a Milano, l'allora Capitano di vascello Giuseppe Fioravanzo (1) pubblicava il libro Basi navali nel mondo. Si tratta di un'opera di carattere strategico e storico-militare, ancora oggi attuale, che analizza il ruolo, l'importanza e la distribuzione delle basi navali a livello mondiale. Fioravanzo affronta con mano sicura un tema molto delicato dal punto di vista geostrategico, evidenziando come le basi navali siano strumenti fondamentali per il controllo dei mari, per la proiezione del Potere Marittimo e per la conseguente difesa degli interessi nazionali. L'Autore spiega cosa si intende per base navale e quali siano le loro funzioni strategiche, logistiche e operative. Viene quindi analizzata l'evoluzione storica delle basi partendo dall'età della vela fino all'epoca moderna. In tal modo Fioravanzo esprime, con singolare chiarezza e lucidità di contenuti, il concetto di “mare come spazio strategico" e la correlata funzione delle basi navali come strumenti del Potere Marittimo. In particolare viene sottolineato il rapporto tra le basi, le flotte e i territori con i riflessi correlati che coinvolgono, a catena, il Mediterraneo, l'Oceano Indiano e il Pacifico. Una latitudine intellettuale straordinaria per l'epoca, ma c'è di più. Fioravanzo propone, infatti, il concetto di “Mediterranei", definendone i contorni geopolitici e geostrategici e non semplicemente geografici. Egli usa il termine “Mediterranei", al plurale con lo scopo d'indicare non solo il Mare Mediterraneo, ma tutti quei mari, chiusi o semichiusi, che condividono determinate condizioni strategiche. Per Fioravanzo i “Mediterranei" sono spazi marittimi contesi, la cui stabilità (ma anche il dominio) non è assoluto e definito per sempre, ma soggetto agli effetti, mutevoli, degli equilibri regionali e internazionali. Sui “Mediterranei" incidono infatti, puntualmente, snodi strategici (i moderni c.d. choke points), ovvero passaggi obbligati, siano essi stretti e canali, che rendono vulnerabile il traffico a operazioni di blocco o d'interdizione. Per l'Autore i “Mediterranei" sono Teatri navali complessi, dove la libertà di navigazione, il rifornimento e il dispiegamento delle flotte richiedono basi avanzate e appoggi terrestri per poter operare. Secondo Fioravanzo, oltre al Mediterraneo classico, fanno parte di questa speciale categoria il Mar Nero, il Mar Baltico, il Mar Rosso, il Mar Caspio, il Golfo Persico e il Mar Cinese Meridionale. Il concetto di “Mediterranei" diventa così, per Fioravanzo, un “modello strategico", con tutte le dinamiche di tensione, controllo e bilanciamento tra potenze, regionali e non, che ne conseguono. Si tratta senz'altro di una delle sue idee più originali e moderne ed è pertanto doveroso e utile citarlo quando si intenda parlare di strategia navale di lungo termine. Non è un caso, quindi, che la riflessione geopolitica e geostrategica contenuta nell'eccellente volume Mediterranei Globali (2), pubblicato dal Centro Studi Militari Marittimi di Venezia della Marina Militare, trovi in Fioravanzo una convergenza unanime tra gli Autori di quell'opera, i quali lo identificano quale precursore della teorizzazione geopolitica dei mediterranei del mondo.

In questa sede, preme evidenziare, in primo luogo, il passaggio o, meglio, la correlazione, così come ampiamente analizzato nel nuovo libro appena ricordato, del concetto di “Mediterranei" con quello di Regional Security Complex (RSC) anglosassone. In altre parole i “Mediterranei" coincidono di qua e di là dell'Atlantico e costituiscano i pivot area di altrettanti RSC, definendone la complessità strategica anche in relazione alle missioni classiche assegnate alle Marine, quali il Sea Control e il Power Projection Ashore.

Il Regional Security Complex (RSC), o Complesso di Sicurezza Regionale (CSR) è, a sua volta, un concetto recente sviluppato all'interno della teoria delle Relazioni Internazionali, in particolare dalla c.d. Copenhagen School (3) e divulgato da Barry Buzan (4) e altri studiosi. Qualora si volesse dare una definizione del RSC, si può dire che con esso si intende una regione del mondo in cui gli Stati condividono “interdipendenze di sicurezza" tali da renderli reciprocamente rilevanti per la propria difesa e sicurezza. La caratteristica principale di un RSC è che gli Stati interagiscono al suo interno in termini di reciproca cooperazione e sicurezza. Le minacce alla sicurezza nei confronti dei componenti della RSC provengono, generalmente, dai vicini e non da attori lontani, mentre i confini di un RSC non coincidono necessariamente con quelli geografici o culturali ma - e questa è la novità - con quelli in cui si concentra l'interazione reciproca in termini di sicurezza. Naturalmente anche attori statuali esterni ad un RSC subiscono un'interazione e interferenza, in termini di sicurezza, quando vengono lesi o minacciati, in quel determinato spazio RSC, gli interessi vitali di una nazione. Ad esempio, nell'RSC del Medio Oriente (Mediterraneo euro-africano), benché gli Stati fortemente interdipendenti in termini di sicurezza siano: Israele, Iran, Arabia Saudita, Yemen eccetera, determinate dinamiche come i recenti attacchi verificatisi lungo le linee di comunicazione nel Mar Rosso, interessano e coinvolgono, inevitabilmente, anche Stati che non fanno parte di quell'RSC.

Nel precedentemente citato Mediterranei globali, volendo estrapolare alcuni concetti, naturalmente a nostro avviso, significativi, il Professor Francesco Zampieri analizza in maniera approfondita le caratteristiche e le dinamiche di formazione delle varie RSC e la correlazione con i relativi “Mediterranei" osservando come in una regione geopolitica: “… sono distinguibili due forze che agiscono in una condizione di ribilanciamento reciproco: una forza strutturale (il paesaggio geopolitico) e una forza volontaria (l'azione politica propriamente detta). I Mediterranei sono sottoposti all'azione di entrambe queste forze. E ancora, di particolare rilevanza, l'Autore osserva come: I Mediterranei possano esser considerati i perni geografici di altrettanti RSC, sia pure tra loro differenti in termini di incidenza sulle problematiche di sicurezza globale. Tale condizione si concretizza, per i Mediterranei, nel momento in cui vengono rispettate tre condizioni:

 

- presenza di un certo numero di stati in una data area geografica che assuma le condizioni di spazio aggregante;

- interazione tra i componenti basata sull'interdipendenza, innanzitutto in materia di sicurezza;

- profondità e costanza di tale interdipendenza.

 

Risulta a questo punto interessante lo studio della tabella sottostante, tratta dal volume in questione (cfr. Nota 2.), mediante la quale l'Autore evidenzia il livello di “incidenza" di alcune potenze navali sui vari “Mediterranei".

 

Potenza

Mediterraneo

euro-africano

Mediterraneo

Meso-americano

Mediterraneo

australasico

Mediterraneo

giapponese

Stati UnitiXXXX
CinaXYXX
RussiaXY0X
FranciaXYY0
Regno UnitoXYYY
X = capacità di azione    
Y = limitate capacità di azione    
0 = nessuna capacità di azione    

 

Come osservato dall'Autore, risulta evidente il livello di incidenza delle maggiori potenze sul Mediterraneo euro-africano il quale, sia detto per inciso, è contenuto nello spazio, già da tempo definito dall'ammiraglio Pierpaolo Ramoino, del Mediterraneo Allargato, ormai talmente scontato, accettato e diffuso da non richiedere più le virgolette. Va anche detto che l'Italia ha un considerevole livello d'incidenza (parola da intendere nel senso di sicurezza) nel Mediterraneo euro-africano. Basti pensare a tutte le operazioni che la Marina Militare svolge nel Mar Mediterraneo geograficamente detto, in aggiunta all'Operazione ASPIDES nel Mar Rosso e all'Operazione ATALANTA nel Golfo di Aden e nell'Oceano Indiano. L'Italia ha poi dimostrato concretamente di poter esercitare una certa capacità d'azione anche nel Mediterraneo australasico grazie alla recente integrazione, dopo la missione nell'Indo-Pacifico, del Carrier Group Cavour assieme ai Carrier Group Alleati (in primis quelli della U.S. Navy). Volendo poi allargare il concetto di “incidenza" possiamo sottolineare le missioni, in tutti i vari “Mediterranei", assolte costantemente dalla Marina Militare. Si tratta di compiti sia di Diplomazia Navale sia di carattere scientifico, come avviene nel Mar Glaciale Artico. Un'attività, come si vede, in perfetto stile XVIII e XIX secolo che comprende sia il “mostrar bandiera" sia l'esercizio, insito inevitabilmente in tutte le navi da guerra, della “deterrenza convenzionale". Si tratta, in pratica, di esercitare, per quanto possibile e in relazione alle capacità della nazione, un certo grado di Potere Marittimo nel cui ambito la Diplomazia Navale costituisce una componente importane per apprezzare correttamente il livello conseguente d'"incidenza". Tornando al Sea Control e al Sea Denial nelle RSC, possiamo dire come queste manifestazioni, maggiori e minori, del Potere Marittimo sono strumenti strategici (e, di conseguenza, politici ed economici) che riflettono i reciproci rapporti di forza ed influenza. A seconda delle condizioni dettate dalla geografia, dalle potenze coinvolte (anche esterne ai RSC) e dalle tecnologie disponibili, uno Stato può privilegiare l'una o l'altra strategia (ovvero scelta) per influenzare l'equilibrio di sicurezza in una determinata RSC. Il mare è, naturalmente, uno spazio cruciale compreso all'interno delle RSC, sia per quanto riguarda un'eventuale proiezione di potenza sia per la protezione diretta delle rotte commerciali vitali e degli interessi strategici di tutti gli Stati coinvolti (ricordiamo, una volta di più, anche quelli esterni alle aree RSC di, diciamo così, competenza). A titolo d'esempio nel Mediterraneo australasico, la U.S. Navy punta ad esercitare il proprio Sea Control sul Pacifico occidentale mediante i suoi Carrier Strike Group mentre nel Mar Cinese Meridionale Washington sta studiando strategie più conformi alla particolare conformazione geografica e militare di quella regione. La Cina, nel Mar Cinese Meridionale, cerca - al contrario - di negare agli Stati Uniti e alle Nazioni vicine il libero accesso, mediante sistemi e strategie c.d. A2/AD (Anti Access/Area Denial) (5). È pertanto necessario realizzare (e Fioravanzo emerge, dal 1936, in tutta la sia attualità) delle basi artificiali, in mancanza di quelle naturali, posizionando altresì tanto batterie di missili antinave destinati a essere lanciati dalla costa quanto unità veloci costiere, di per sé uno strumento tipico del Sea Denial sin dai tempi dei MAS (altra invenzione nostrana). In generale, la scelta tra Sea Control e Sea Denial dipende dal livello di potenza della Nazione, dagli obiettivi strategici che ciascun Stato intende conseguire, dalla posizione geografica di uno Stato e, nel caso dei “Mediterranei", dalla conformazione geografica della regione. Mahan perfetto, quindi. Il Sea Control viene esercitato dalle grandi potenze navali, le quali dispongono di flotte oceaniche (c.d. Blue Water Navies) e di una reale capacità di proiezione globale in virtù del possesso di basi navali avanzate proprie o di alleati strategici. Il Sea Denial è invece esercitato, generalmente, da potenze regionali (fatte salve eccezioni come nel caso della Repubblica Popolare Cinese, in fase di espansione un po'dovunque, ma che deve provvedere, in primo luogo, all'area del Mar Cinese Meridionale), le quali non possono competere frontalmente sul mare, ma desiderano essere comunque in grado di negarne ad altri il libero uso e l'accesso. I sistemi d'arma delle potenze regionali che esercitano il Sea Denial sono tipicamente: missili antinave (lanciabili dalla costa, ma anche dall'interno); mine, mini sommergibili e sistemi d'arma asimmetrici (droni, barchini esplosivi e così via).

Per concludere questa panoramica, nel riconoscere la modernità del pensiero di Fioravanzo (i cui insegnamenti si integrano pienamente, con i dovuti aggiustamenti temporali e tecnologici, con le attuali teorie geostrategiche) appare inevitabile constatare come il concetto di Mediterraneo Allargato stia rapidamente evolvendo verso il principio dei Mediterranei Globali: ovvero in direzione dell'interdipendenza di tutti i bacini tra loro. La correlata variabile significativa è quella determinata dal “livello d'incidenza" conseguibile e sostenibile dalle varie Marine e Nazioni. In ogni caso è utile constatare la vivacità, allora come oggi, del pensiero navale italiano. Si tratta della caratteristica fondamentale, detta freschezza di pensiero, propria della cultura e della tradizione della Marina Militare. Il libro Mediterranei Globali realizzato dal Centro Studi Militari Marittimi di Venezia costituisce una recentissima e significativa testimonianza in questo senso. Il compito della Rivista Marittima è, a sua volta, quello di provvedere alla divulgazione e, ancor più, al corretto apprezzamento, da parte dei propri lettori, siano essi istituzionali od elettori, del frutto di questi ragionamenti e conclusioni specialistiche. Lo abbiamo fatto dal 1868 e continueremo a farlo perché questa è la nostra missione. Senza consapevolezza, infatti, non si va da nessuna parte e soltanto i cittadini sono i detentori del potere ultimo, quello decisionale, una facoltà che esige conoscenza e consapevolezza.

 

NOTE

(1) Ammiraglio di squadra (Monselice - Padova. 14 agosto 1891 - Roma 18 febbraio 1975), storico navale, illustre esponente del pensiero navale italiano e autorevole scrittore autore di un'ampia produzione tra libri e articoli tradotti anche in inglese, francese, tedesco e spagnolo. Fu tra i primi a cogliere l'importanza del fattore aereo e a propugnare sin dal 1921 la necessità, per la Marina italiana, di navi portaerei. Dopo la Seconda guerra mondiale fu collocato, nel 1950, in ausiliaria e subito richiamato, in temporaneo servizio attivo, dal 1950 al 1960, in qualità di Direttore dell'Ufficio Storico della Marina Militare e, contemporaneamente, di Direttore della Rivista Marittima, dall'agosto 1950 all'ottobre 1958, per poi essere sostituito in quegli incarichi dall'Ammiraglio Aldo Cocchia.

(2) Mediterranei Globali – Politiche e strategie per i “mari ristretti", a cura di Giuseppe Schivardi, Francesco Zampieri e Davide Ghermandi. Edizioni Nuova Cultura. Roma 2025.

(3) La Copenhagen School of Security Studies è una scuola di pensiero accademico che trae origine dal libro del teorico delle relazioni internazionali Barry Buzan: People, States and Fear: The National Security Problem in International Relations, pubblicato per la prima volta nel 1983. Tra i teorici associati alla scuola figurano Buzan, Ole Wæver e Jaap de Wilde. Molti dei membri della scuola lavorarono presso il Copenhagen Peace Research Institute, da cui deriva il suo nome (fonte English Wikipedia).

(4) Barry Gordon Buzan, FBA, FAcSS (28 aprile 1946) è un politologo britannico. È professore emerito di Relazioni Internazionali presso la London School of Economics e professore onorario presso l'Università di Copenaghen e l'Università di Jilin. Buzan ha elaborato la teoria del Complesso di Sicurezza Regionale (CSR) ed è quindi, insieme a Ole Wæver, una figura centrale della Scuola di Copenhagen (fonte English Wikipedia).

(5) A2/AD (Anti-Access/Area Denial) è una strategia militare difensiva che crea una “bolla" di sicurezza per impedire a un avversario di accedere a un'area strategica e di agire liberamente al suo interno. La parte “Anti-Access" (A2) si riferisce ad azioni per impedire l'ingresso di una forza nemica, mentre “Area Denial" (AD) limita la libertà d'azione del nemico all'interno dell'area già compresa.